STORIE DI FARI * Il Faro di Capo Caccia
di AnnaMaria "Lilla" Mariotti
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Questo faro che porta il numero 1418 nell’elenco Fari italiani si trova a circa 25 Km a ovest di Alghero, in Sardegna, Latitudine 40° 02’ Nord, Longitudine 8°29’ Est. La sua collocazione è molto particolare : si trova in cima ad un dirupo, proprio al di sopra delle famose Grotte di Nettuno, una formazione geologica antichissima, scavata nella roccia a livello del mare, un trionfo di stalattiti e stalagmiti, raggiungibili via mare o a mezzo di un’interminabile a scalinata di 656 gradini, la “Escala del Cabriol”, che parte proprio dal punto in cui inizia il sentiero verso il faro. Qui si incontra un piccolo cancello verde con la solita targa gialla che recita “Zona Militare – Divieto di accesso” che, naturalmente, serve a dissuadere anche il più fanatico e curioso amante dei fari. Come aggirare l’ostacolo ? Beh, ognuno ha i suoi segreti. La storia del faro nasce nel 1800, il secolo della farologia, il secolo in cui è stata costruita la maggior parte dei fari in tutto il mondo e più esattamente nel 1864, lo stesso anno di quello di Capo Sandalo, sull’Isola di San Pietro, ed è sempre stato in attività. La sua lanterna è stata illuminata con i combustibili più diversi, tra cui l’acetilene fino a circa il 1880, seguito dai vapori di petrolio finché, nel 1961, è arrivata l’elettricità. Monta un’ottica rotante, una delle dieci che si trovano in Sardegna, con lenti di Fresnel con 4 pannelli a 90° equidistanti tra loro di tipo O.R. 375/4 a luce bianca e lampi singoli, costruita dalla B.B.T. di Parigi nel 1951. Ora è illuminata da una lampada alogena da 1000 Watt come tutti gli altri fari italiani. La sua luce è visibile a 34 miglia di distanza, uno dei fari con maggiore visibilità nel Mediterraneo, e la sua luce ha un periodo di 5” (0,2” di luce e 4,8” di eclisse) e l’ottica compie un giro completo ogni 20”. Se questo può sembrare troppo tecnico o magari astruso, ecco più semplicemente : la lanterna emette un lampo bianco ogni 5”. Funziona inoltre come faro d’atterraggio per gli aerei in arrivo all’aeroporto di Alghero. Il faro si trova proprio in cima allo strapiombo che segna l’estremità del golfo di Porto Conte, a picco sul mare ed è un grande caseggiato bianco a tre piani, avvolto nella gabbia di Farday che lo protegge dai fulmini e che gli da uno strano aspetto a quadretti. E’ una costruzione imponente, sulla cui sommità svetta una torre di circa 24 metri che, sommati, all’altezza della scogliera, porta l’altezza totale del faro a 186 metri sul livello del mare e che fa di Capo Caccia il faro più alto d’Italia. L’aspetto architettonico di questo faro ricorda, nella sua tipologia, quello di molti altri fari italiani costruiti dal Genio Civile nella seconda metà dell’800 quando si era reso necessario illuminare, magari in fretta, le coste di un’Italia ormai unificata. Il casamento centrale, quadrato, con la torre che svetta al centro, era il modello più comune, pur diversificando i materiali utilizzati ed i colori per distinguere i vari fari. Non bisogna dimenticare che parallelamente alla costruzione di questi imponenti signori della notte corrono eventi storici che ne hanno influenzato lo stile e la collocazione. Quando si parla di un faro si intende parlare anche del suo guardiano. Molti anni fa guardiani e fari erano strettamente legati uno all’altro, in quanto questi dipendevano strettamente dall’uomo che si prendeva cura di lui. Oggi i fari automatizzati splendono sempre nella notte e i guardiani sono una specie in via d’estinzione, ma qualcuno rimane e, quando c’è, questo legame si fa sempre sentire. Attuale guardiano del faro di Capo Caccia è Luigi Critelli, genovese, che vi è entrato nel Dicembre del 1994. La sua è una storia particolare : impiegato presso l’Istituto Idrografico della Marina Militare a Genova non aveva una particolare inclinazione per i fari, ma solo un grande amore per il mare e la pesca e, forse, anche una certa idiosincrasia per la vita di città quando, per puro caso, si trovò tra le mani un foglio della Marina che cercava personale disponibile a lavorare nei fari. Fu quasi una folgorazione e, dopo aver convinto la sua famiglia, fece domanda alla Marina che l’accettò. Tra lui e il faro c’era ancora in corso di Farista a cui Luigi partecipò e alla fine, il 21 Dicembre 1994, arrivò a Capo Caccia. Era una scommessa, la moglie, Maria Teresa, insegnante, i figli, Vincenzo e Fiorenza, ancora piccoli, erano rimasti a casa in attesa che lui si sistemasse e lui si sistemò, superando le difficoltà dell’inizio con l’entusiasmo di un neofita. La famiglia si riunì presto ed ora vivono tutti nel faro in una beata solitudine che non dispiace a nessuno. Conducono una vita come quella di tutte le altre famiglie, la moglie insegna ad Alghero, i figli, ormai grandi, vanno a scuola e Luigi ha le sue quotidiane mansioni a cui attendere, ma quando si riuniscono lo fanno in una casa bomboniera, affacciata sull’infinito. Luigi ha due colleghi che dividono con lui il lavoro non solo sul faro, ma anche su tutti gli altri segnalamenti che fanno parte della reggenza di Capo Caccia, fino a Bosa Marina e a Porto Conte, perché le luci in mare sono importanti e devono essere viste molto chiaramente. Naturalmente il faro occupa la maggior parte del suo tempo, c’è da fare la manutenzione ordinaria e, soprattutto, da tenere puliti i vetri della lanterna e le lenti di Fresnel. Il faro è alto sul mare, ma quando gli elementi si scatenano il mare può fare dei danni anche lassù. Davanti a Capo Caccia si trova una piccola isola, La Foradada, e quando il mare è in tempesta le onde frangono sull’isolotto e l’acqua nebulizzata arriva fino alla cima della lanterna portando con sé tutto il sale del mare. Ogni faro ha la sua storia da raccontare, spesso sono storie fantastiche legate alla sua costruzione o alla vita dei guardiani che si sono susseguiti nel tempo, alle volte in queste storie entrano anche i fantasmi, e abbiamo chiesto a Luigi se il suo faro aveva una di queste storie da raccontare. Lui ha detto di no, non ne conosceva, poi, però ha ricordato uno strano episodio che gli era capitato nei primi tempi, dopo due mesi che abitava lassù, da solo. Un pomeriggio, stanco, si era appisolato, si trovava in uno stato di dormiveglia e forse stava sognando, non ricorda, ma ha sentito chiaramente bussare alla porta, poi qualcuno è entrato, gli si è avvicinato e ha detto ad una terza persona : “Sta dormendo, veniamo un altro giorno” . Luigi si è svegliato, e non ha visto nessuno, così nei giorni seguenti ha chiesto a tutte le poche persone che conosceva se erano andati al faro, ma nessuno era arrivato fin lassù e nessuno è andato a cercarlo il giorno seguente. Lui la racconta così, come una cosa strana che gli è capitata e che gli è rimasta impressa ed a cui non sa dare una spiegazione, anche se forse una spiegazione ce l’ha, ma quale ? Ecco la storia del faro di Capo Caccia, un faro in cima al mondo, dove chiunque di noi vorrebbe trovare il suo paradiso privato.
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