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MITI
La Casa Rosa
di AnnaMaria "Lilla" Mariotti
Era una grande casa rosa, grave e maestosa nelle sue linee severe, se pur ingentilite da grandi finestre che occhieggiavano su un verdissimo parco pieno di alberi, di palme, di fiori. La sua costruzione risaliva al 1700 e nei suoi tempi migliori doveva aver visto passeggiare nel suo parco e nelle sue sale dame e cavalieri che portavano i nomi più illustri della nobiltà dell'antica Genova. A quei tempi era stata certamente una casa patrizia, una specie di villa di campagna, perché a tale scopo erano destinate le belle costruzioni disseminate tra il 1600 ed il 1700 sulla collina di Albaro, ma ora, ai giorni nostri, era certo una casa stregata. Lo si avvertiva subito, appena superato il cancello che portava nel grande giardino. Se fuori c'era il sole e non si sentiva un alito di vento, all'interno ci si trovava avvolti dall'ombra ed un vento fresco raggelava le membra. Nel suo parco, sotto gli alberi, aleggiava un silenzio strano, come ovattato, rotto solo dal tubare delle tortore, l'unico rumore che si sentiva. L'uso del suo interno era stato svilito ormai da anni e trasformato in uffici, dove persone si muovevano in continuo da una stanza all'altra, telefoni squillavano e macchine da scrivere ticchettavano. Ma anche qui strane correnti d'aria ti aggredivano nei corridoi, strani silenzi improvvisi mentre salivi una scala, e strani rumori, insoliti, provenienti non si sa da dove. Ma sopratutto la gente cambiava lì dentro. Quelli che vi entravano non erano più gli stessi di prima. Quelli che erano stati amici, ora sembrava si odiassero, tutti erano affannati e tutti volevano arrivare da qualche parte e possibilmente sempre prima degli altri. Tutti erano in competizione con tutti. Entrando nella grande casa rosa le persone perdevano la loro gioiosa allegria per sostituirla con una cupa malinconia o tristezza che fosse, che li assaliva appena passavano il cancello. Voci sussurrate, bisbigli che crescevano a dismisura, creando paure, insicurezze, inimicizie. La casa doveva essere abbandonata, non c'era altra soluzione, poi tutto sarebbe tornato normale. Il lavoro sarebbe scorso via liscio, la gente sarebbe tornata tranquilla e gli odi ed i rancori sarebbero svaniti come per incanto. E così fu fatto, un giorno tutto fu imballato e gli uffici furono trasferiti in un moderno edificio in centro. E la grande casa ? Non mi meraviglierei se una mattina, svegliandosi, le persone delle case vicine non la vedessero più, inghiottita nella notte dal suo grande parco, che si è richiuso su di lei. Poi, magari tra secoli, potrebbe riapparire, come per incanto, in una notte, e di nuovo la gente tra le sue mura sentirebbe quelle strane correnti d'aria, quegli strani silenzi e quegli strani rumori
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