Ci troviamo a Las Galeras, nella Repubblica Domenicana, un nome che è tutto un programma, infatti nelle sue vicinanze c'è una prigione, ma non è per questo che noi siamo qui.
Las Galeras è un piccolo villaggio sulla costa nord orientale dell'isola, un posto dimenticato, soprattutto dai turisti, dove le donne del luogo fanno il bagno vestite e guardano con occhio severo e critico i pochi bikini che incontrano. Siamo alloggiati in un villaggio frequentato solo da gruppi sparuti di tedeschi che arrivano sempre nel tardo pomeriggio, e sempre in ritardo sull'orario fissato, stipati in un pulmino che li porta dall'aeroporto.
Il paesaggio sembra quello stereotipato delle cartoline, palme e sabbia, ma non è la stessa cosa: è vivo, sospira con il vento tra le foglie delle palme, il rumore della risacca sulla barriera corallina ed il suono del merengue che vola sull'aria. I bungalows sono nascosti da cespugli di poinsettia e buganville e il suo scenario è un prato all'inglese, del tutto naturale, sotto un bosco di palme, altissime e piegate dal vento, che finiscono su una lingua di sabbia bianchissima. Cosa importa se, durante il solito temporale notturno, qualche goccia d'acqua entra dal tetto ?
Il ristorante è una capanna col tetto di paglia e il menù e adatto agli ospiti del nord Europa, ma c'è anche la cucina locale, le abiciuelas con arroz e il pollo ruspante cotto in tutti i modi possibili, sempre con l'onnipresente riso. E la frutta, papaya, mango, piccole e saporitissime banane rosa, meloncini che profumano di sole e che rendono bella la vita sin dal mattino. Le aragoste che fanno bella mostra di sé nella fotografia del depliant che ci hanno consegnato all'ingresso devono essere state prese in prestito per l'occasione e forse sono ritornate in quel mare da cui le avevano raccolte solo per essere protagoniste di una fugace occasione.
Ma noi vogliamo vedere le balene. Nella Baia di Samanà, durante l'inverno, scendono dai freddi mari atlantici verso i caldi mari tropicali per riprodursi e allevare i "cuccioli", e ora è febbraio, la stagione giusta.
Sappiamo che dalla cittadina di Samanà partono delle grosse barche per l'avvistamento dei cetacei, ma si fermano lontano da loro e non consentono una buona visibilità. Noi vogliamo andare più vicino, vedere bene le balene, e allora cerchiamo Carlos. Lui è un'istituzione del posto, sa tutto e trova tutto, da solo ha imparato a parlare in quattro lingue ed è pieno di iniziative.
Una volta trovato il ragazzo l'accordo è presto fatto, e l'appuntamento viene fissato per il mattino seguente alla spiaggia di Los Cacaos dove ci troviamo di buon'ora e ci imbarchiamo su una lancia con un piccolo fuoribordo, guidata da un taciturno isolano. In breve tempo siamo al largo, vediamo a distanza le barche dei turisti, ma noi continuiamo ad andare avanti e finalmente il nostro nocchiero spegne il motore. Tutto è fermo e tranquillo, il mare è turchese liquido, così trasparente che la nostra barca sembra sospesa sul nulla. Siamo in attesa, in silenzio, guardandoci in giro quando, improvvisamente, uno sbuffo d'acqua, poi un altro e un altro ancora; ecco il primo dorso possente che esce dall'acqua e si immerge portandosi dietro la sua grande coda. Eccolo il grande mammifero marino, il nostro avo acquatico, l'enorme leviatano, è così vicino che quasi possiamo toccarlo e noi inforchiamo le nostre macchine fotografiche per immortalare questa scena, per riportarcela indietro e non dimenticarla mai; proprio allora, sotto la barca, passa un'enorme ombra scura, lentissima, grandissima, e noi restiamo tutti immobili, tratteniamo il respiro, incapaci di parlare e di scattare una foto davanti a quello spettacolo imprevisto, a quel momento memorabile e interminabile. Quando l'ombra svanisce, sulla barca riprendiamo tutti fiato simultaneamente con un unico, lungo sospiro, e poco più avanti il nostro amico - perché tale ormai lo sentiamo - esce possente dall'acqua e si rituffa sotto levando alta la coda, e a noi piace pensare che così ci stia salutando.